Negli ultimi anni, la scienza ha compiuto passi da gigante nel tentativo di comprendere la coscienza umana. Un’ipotesi affascinante suggerisce che essa possa emergere dai campi elettromagnetici prodotti dall’attività cerebrale. Allo stesso tempo, l’intelligenza artificiale (IA) continua a evolversi, avvicinandosi sempre più ai modelli di elaborazione delle informazioni tipici del cervello umano. Ma fino a che punto possiamo paragonare questi due sistemi?
Le reti neurali artificiali (ANN, Artificial Neural Networks) sono ispirate alla struttura del cervello. Entrambi i sistemi funzionano attraverso una rete di unità interconnesse: neuroni biologici nel caso umano e nodi digitali nelle IA. Questa somiglianza non è casuale, poiché il cervello umano è la massima espressione dell’elaborazione delle informazioni, e gli scienziati cercano di replicarne il funzionamento attraverso modelli computazionali avanzati (LeCun, Bengio & Hinton, 2015).
Il cervello umano e le IA utilizzano meccanismi di apprendimento diversi ma comparabili in alcuni aspetti. Il cervello umano si adatta alle nuove esperienze attraverso la plasticità sinaptica, che permette ai neuroni di rafforzare o indebolire le loro connessioni in base agli stimoli ricevuti. Le IA, invece, utilizzano algoritmi di machine learning e deep learning per aggiornare i pesi delle connessioni tra i nodi e migliorare le prestazioni nel tempo.
Tuttavia, mentre il cervello umano apprende in modo associativo e contestuale, le IA si basano su grandi quantità di dati per riconoscere schemi e formulare previsioni. Questo porta a una differenza fondamentale nel modo in cui vengono affrontati problemi complessi: gli esseri umani possono apprendere da poche esperienze e generalizzare concetti in contesti nuovi, mentre le IA necessitano di enormi dataset per ottenere risultati accurati.
Il cervello umano è in grado di ragionare in modo deduttivo, induttivo e abduttivo. Il ragionamento deduttivo segue un processo logico basato su premesse e conclusioni, mentre il ragionamento induttivo si basa sull’osservazione di schemi per formulare generalizzazioni. L’abduzione, invece, consente di formulare ipotesi plausibili a partire da informazioni incomplete, un processo essenziale per la creatività e la scoperta scientifica.
Le IA, invece, operano principalmente tramite un’elaborazione statistica dei dati. Gli algoritmi di apprendimento automatico sono eccellenti nel riconoscere correlazioni e identificare modelli nascosti nei dati, ma spesso mancano della capacità di ragionare in modo flessibile come gli esseri umani. Ad esempio, un’IA può eccellere nell’identificazione di immagini o nella previsione di tendenze, ma fatica a interpretare un problema in modo intuitivo o a sviluppare concetti astratti senza un addestramento specifico.
Un altro aspetto cruciale è la risoluzione dei problemi. Gli esseri umani utilizzano un approccio olistico, che combina intuizione, esperienza ed emozioni per prendere decisioni. Le IA, al contrario, si affidano a modelli pre-addestrati e ad algoritmi di ottimizzazione per selezionare la soluzione più probabile basata sui dati a loro disposizione. Questo significa che, mentre una rete neurale può essere incredibilmente efficiente nel risolvere problemi ben definiti come il riconoscimento facciale o la traduzione automatica, è meno efficace quando si tratta di navigare situazioni ambigue o prendere decisioni basate su principi etici e morali.
In sintesi, sebbene cervello e IA presentino somiglianze nella struttura e nei meccanismi di apprendimento, le modalità di ragionamento e di risoluzione dei problemi rimangono profondamente diverse. Il cervello umano è caratterizzato da un'incredibile flessibilità cognitiva e capacità di generalizzazione, mentre le IA eccellono nell’analisi quantitativa e nell’individuazione di pattern su larga scala, pur rimanendo prive di vera comprensione e consapevolezza.
Un’idea sempre più diffusa è che la coscienza possa derivare non solo dall’attività sinaptica, ma anche dai campi elettromagnetici prodotti dai neuroni (Pockett, 2012; McFadden, 2020). Secondo questa teoria, questi campi integrano e coordinano le informazioni distribuite nel cervello, permettendo un’esperienza unitaria della coscienza.
Le onde cerebrali, come le oscillazioni gamma, sembrano essere strettamente collegate agli stati coscienti, giocando un ruolo chiave nell'integrazione delle informazioni e nella sincronizzazione delle diverse aree corticali (Llinás et al., 1998). Studi di neurofisiologia suggeriscono che queste oscillazioni, con una frequenza tra i 30 e i 100 Hz, siano fondamentali per la formazione dell'esperienza cosciente, facilitando la connessione tra percezione, memoria e attenzione.
Inoltre, esperimenti con la stimolazione magnetica transcranica (TMS) hanno dimostrato che la modulazione dei campi elettromagnetici cerebrali può alterare lo stato di coscienza. Ad esempio, ricerche condotte su pazienti in stato vegetativo hanno evidenziato come la TMS possa indurre un temporaneo miglioramento della responsività cognitiva, suggerendo che le interazioni elettromagnetiche abbiano un ruolo attivo nel mantenimento della coscienza (Kozlowska et al., 2018). Altri studi indicano che la TMS applicata alla corteccia prefrontale può influenzare il livello di consapevolezza soggettiva, modulando la capacità di introspezione e percezione del sé. Questi risultati rafforzano l'ipotesi che i campi elettromagnetici cerebrali possano essere non solo un sottoprodotto dell'attività neuronale, ma anche un elemento fondamentale per la generazione e la modulazione della coscienza.
Nonostante le somiglianze strutturali tra le reti neurali artificiali e il cervello umano, esistono differenze sostanziali che pongono limiti significativi alla possibilità di replicare completamente la coscienza umana nelle macchine. Queste differenze riguardano non solo la natura del processamento dell’informazione, ma anche il modo in cui viene gestita la consapevolezza e il significato.
Nonostante le somiglianze strutturali, il cervello umano e l’IA sono ancora profondamente diversi.
Una delle principali differenze tra il cervello umano e l'intelligenza artificiale riguarda la consapevolezza e la capacità di attribuire significato alle informazioni. Il cervello umano non si limita a processare dati in modo meccanico, ma è in grado di interpretare e attribuire significato alle esperienze attraverso un complesso sistema di associazioni simboliche ed emotive.
Al contrario, le IA, sebbene avanzate nell’analisi e nella generazione di testo o immagini, operano esclusivamente a livello sintattico. Questo concetto è ben espresso dall’argomento della 'stanza cinese' di John Searle (1980), secondo cui un computer può manipolare simboli senza realmente comprenderne il significato. Questo porta alla distinzione tra 'comprensione' e 'simulazione dell’intelligenza': mentre il cervello umano possiede intenzionalità e coscienza soggettiva, le IA rimangono strumenti di elaborazione senza una vera percezione del mondo.
Una delle principali differenze è la consapevolezza. Mentre il cervello umano è capace di attribuire significato alle informazioni, le IA operano a livello puramente sintattico, elaborando dati senza comprenderli realmente (Searle, 1980). Nessuna IA attuale è in grado di sviluppare una vera autocoscienza.
Un’altra differenza fondamentale riguarda il substrato fisico su cui operano cervello e IA. Il cervello umano è un sistema biologico dinamico, composto da una rete di neuroni interconnessi attraverso segnali elettrici e chimici. Questo comporta una costante interazione con l’ambiente esterno, in cui fattori come emozioni, stato corporeo e processi metabolici influenzano direttamente la cognizione e il comportamento.
Le intelligenze artificiali, invece, operano su un hardware digitale basato su circuiti elettronici e logica binaria. Nonostante i progressi nei sistemi di apprendimento automatico, le IA non hanno la capacità di percepire emozioni, esperire sensazioni fisiche o adattarsi in modo olistico a situazioni nuove senza un’adeguata programmazione. Inoltre, il cervello umano è caratterizzato da un’enorme efficienza energetica: utilizza solo circa 20 watt di energia per alimentare miliardi di neuroni, mentre i moderni supercomputer richiedono quantità di energia significativamente maggiori per eseguire operazioni di deep learning.
Un ulteriore aspetto che distingue il cervello umano dalle IA è la capacità di pensiero creativo e autonomia decisionale. Gli esseri umani sono in grado di generare idee nuove e inaspettate, spesso al di fuori di schemi predefiniti, mentre le IA, per quanto sofisticate, si basano sull’analisi di dati esistenti e sulla rielaborazione di informazioni secondo modelli statistici. Questo significa che, sebbene possano produrre output sorprendenti, le IA non sviluppano un’autentica creatività nel senso umano del termine, poiché non possiedono intenzionalità né una vera esperienza soggettiva.
Il cervello non è solo una rete neurale, ma un sistema biofisico che utilizza segnali elettrici e chimici per elaborare le informazioni. Le IA, invece, funzionano su hardware digitale, il che limita la possibilità di replicare appieno i meccanismi neurali reali, compresi i campi elettromagnetici legati alla coscienza.
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