Immaginate la scena. Un imprenditore di quelli autentici, cuore e mani nella propria azienda, che ogni giorno si destreggia tra ordini, pagamenti da incassare, collaboratori da gestire e clienti da accontentare. E a un certo punto pensa: "Forse è arrivato il momento di migliorare il marketing."
Va su LinkedIn, inizia a leggere qualche post di presunti esperti… e dopo tre righe si chiede se per caso ha aperto per sbaglio il manuale del linguaggio Klingon.
Semplifichiamo?
Invece no. Parte la raffica di acronimi e anglicismi: KPI, CRO, A/B Test, UX, CTA, SEO, growth funnel end-to-end, feature flag, lead nurturing...
Se non sei del mestiere, sembra più la trascrizione di un incontro tra capi di guerra Klingon che un consiglio utile per far crescere un’azienda.
E la reazione è inevitabile: l’imprenditore si sente inadeguato, si intimidisce… o più facilmente chiude tutto e si dedica a problemi più concreti. Come far quadrare il bilancio.
Eppure, chi si occupa di comunicazione dovrebbe sapere che la prima regola è proprio farsi capire.
La verità è che chi conosce davvero la materia riesce a spiegarla in modo chiaro. Con parole semplici. O, quanto meno, adatte all’interlocutore. Quell’interlocutore che, di solito, è anche quello che paga.
Questo non si chiama semplificare. Si chiama competenza comunicativa.
Allora, la prossima volta che incontrate un imprenditore, provate a lasciare da parte gli acronimi. Smettete di parlare Klingon e iniziate a parlare la lingua di chi i problemi li vive ogni giorno e cerca solo qualcuno che sappia risolverli.
Vi sorprenderà scoprire quanto questo semplice approccio renda tutto… più chiaro. E più efficace.
E se proprio volete continuare a parlare Klingon… fate almeno in modo che nella sala riunioni ci siano i sottotitoli.