0,02%: questa è la percentuale di PMI italiane che, al 2024, ha scelto di finanziarsi tramite minibond, da quando questo strumento è stato introdotto nel 2012. In termini assoluti, si tratta di sole 812 imprese. Considerando che in Italia operano oltre 4 milioni di piccole e medie imprese, la proporzione è quasi simbolica.
Eppure i minibond esistono, funzionano, e crescono. Solo nel 2024, 105 PMI hanno emesso nuovi titoli per un controvalore complessivo di 686 milioni di euro, portando il valore cumulato delle emissioni a 5,45 miliardi.
Ma cosa sono esattamente i minibond?
Si tratta di titoli di debito a medio termine, emessi da imprese non quotate per raccogliere capitali da investitori privati e istituzionali, al di fuori del tradizionale circuito bancario. In parole semplici, un’azienda che emette un minibond si fa prestare denaro da investitori, impegnandosi a restituirlo in futuro con un certo interesse.
È uno strumento flessibile, pensato per finanziare crescita, internazionalizzazione, acquisizioni o sviluppo tecnologico, senza dover cedere quote societarie.
E allora, perché così poche imprese ne fanno uso?
Non credo si tratti di un limite tecnico o normativo. Il vero ostacolo è culturale, strutturale, forse perfino antropologico. Per accedere a questo tipo di finanza serve una forma mentis ancora poco diffusa: capacità di pianificazione, bilanci trasparenti, governance solida, visione strategica di medio-lungo periodo. E, soprattutto, disponibilità a raccontarsi, a farsi valutare, ad aprirsi al mercato.
È lì che molte PMI si fermano.
Nella mia esperienza sul campo, incontro spesso imprese vive, concrete, piene di energia e competenza. Ma che vivono il bilancio come un adempimento fiscale, non come uno strumento di governo. Che non leggono nei propri numeri il futuro possibile, ma solo il passato rendicontato. Che non hanno mai avuto il tempo, o il supporto giusto, per trasformare i dati aziendali in consapevolezza strategica.
E così la finanza alternativa resta lontana, non perché sia difficile, ma perché non parla la stessa lingua.
Da tempo mi interrogo su come rendere questa lingua accessibile, su come aiutare le imprese a riscoprire nel bilancio una bussola, non un nemico.
È da questa esigenza che nasce il mio impegno nello sviluppo di un sistema di valutazione strategica delle aziende, pensato per offrire strumenti leggibili, coerenti, orientati alla crescita.
Non è una piattaforma che vende soluzioni, né un algoritmo miracoloso. È un metodo di accompagnamento. Una guida che parte dalla realtà economica concreta dell’impresa, per renderla comprensibile, e quindi potenziabile.
In questo senso, i minibond diventano qualcosa di più di uno strumento finanziario: diventano un indicatore di maturità, una prova di consapevolezza, un’occasione per affermare la propria visione davanti a chi è disposto a scommettere su di essa.
E forse, il vero tema non è "come finanziare le PMI", ma come aiutarle a fidarsi di se stesse, abbastanza da raccontarsi con chiarezza.